Solamente 3 anni fa, Holger Rune conquistava il primo titolo 1000 in carriera a Bercy, quando ancora era teenager. Il classe 2003 aveva sconfitto cinque top 10 consecutivi, compreso Novak Djokovic in finale, per conquistare il titolo. Quel trionfo era parso l’inizio di una nuova era, la consacrazione di un talento ruvido ma scintillante, di un giocatore pronto a dominare insieme ai nuovi fenomeni del circuito. Invece, da allora il danese sembra essersi perso in un labirinto di cali di rendimento e scelte discutibili, culminato con la rottura quest’anno del tendine d’Achille. Il suo tennis, potente e imprevedibile, si è trasformato in un enigma: brillante a tratti, ma privo di direzione concrete.
Un’ ascesa a suon di titoli… e like
Rune è sempre stato considerato dalla Danimarca come un enfant prodige, quello che sarebbe stato capace di dare fama tennistica ad un paese poco conosciuto da quel punto di vista. In qualsiasi categoria ha dominato, cosa che non è passata inosservata in Costa Azzurra, con Patrick Mouratoglu che ha deciso di accoglierlo nella sua accademia. Piuttosto che ricordarlo per il trionfo al Roland Garros tra gli juniores, Holger si introduce nell’immaginario collettivo per le sue condivisioni sui canali social. Dritti alla velocità della luce, allenamenti massacranti e pose da modello: Rune arriva al debutto tra i pro nel 2020 nelle vesti di una nuova superstar. Una specie di mix fra una macchina (in Francia lo chiamano “The Machine”) e un influencer nel campo sportivo.
I continui cambiamenti di team e il ruolo della madre
Tuttavia, dopo quell’incredibile titolo a Bercy e tutte queste premesse, la consacrazione per la stellina danese non è ancora arrivata. Nessuno mette in dubbio il talento di Holger Rune. Il suo rovescio in spinta, la rapidità di piedi, la capacità di cambiare ritmo e di prendere rischi lo rendono un giocatore pazzesco. Nonostante ciò, nel tennis moderno, dove la costanza mentale e la gestione del punto sono tanto importanti quanto la tecnica, Rune non ha ancora trovato il giusto equilibrio. Questo è dovuto anche alla tanta confusione intorno a lui. Il danese ha cambiato più volte allenatore in pochi mesi: da Lars Christensen a Patrick Mouratoglou, poi Boris Becker, quindi il ritorno con Mouratoglou e poi una nuova separazione. Un continuo via vai che ha dato l’impressione di un progetto tecnico mai consolidato, privo di una linea chiara. Su tutto questo l’ombra della madre, che ha sempre esaltato il figlio, talvolta producendo semplicemente confusione e inutili pressioni. Adesso, lo aspetta un lungo periodo di riabilitazione che, forse, potrebbe aiutarlo a maturare mentalmente e a costruire un percorso delineato. Sempre nella speranza che l’entità dell’infortunio non sia troppo grave e che mentalmente il danese possa resistere ad un incidente così doloroso.


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