Il primo mese di NBA è andato in archivio, in testa alle due conference troviamo gli Oklahoma City Thunder da una parte e i Detroit Pistons dall’altra; alle loro spalle però la competizione è ricca di sorprese e le partite diventano sempre più importanti.
Per tutte le franchigie però c’è un problema comune, quello degli infortuni, che sta colpendo moltissime Star: da Giannis Antetokounmpo a Victor Wembanyama, passando per Trae Young e Kawhi Leonard.
In questa settimana in compenso c’è stato il ritorno in campo più atteso di tutti, quello di LeBron James.
Il ritorno del Re
Alle prese con una sciatalgia da inizio ottobre, LeBron James è potuto tornare in campo soltanto questo martedì nella sfida vinta contro gli Utah Jazz nella quale il numero 23 gialloviola ha giocato meno di 30 minuti mettendo nel tabellino 11 punti e 12 assist.
Per gli amanti delle statistiche, King James ha allungato a 1293 la striscia di partite consecutive in regular season con almeno 10 punti, l’ultima volta che andò sotto era il 5 gennaio 2007.
Cosa può portare a questi Lakers?
Entrando nella sua 23esima stagione nella lega, l’ormai quarantunenne LeBron si trova per la prima volta di fronte al fatto di non dover più essere il leader indiscusso della sua squadra, che da febbraio è nelle mani dello sloveno Luka Doncic.
LeBron sa perfettamente che gli equilibri del roster sono ben delineati grazie al lavoro del coach JJ Reddick e all’apporto dei role player che finalmente stanno elevando il proprio gioco, come dimostrano le buonissime prestazioni di De’Andre Ayton e Rui Hachimura.
Il Nativo di Akron dovrà essere il leader caratteriale, mentre sul campo potrà prendersi meno responsabilità offensive nell’arco di tutta la partita per essere più lucido e decisivo nei momenti cruciali.
I dubbi lasciati dall’anno scorso dovranno essere risolti perché la coppia Austin Reaves–Luka Doncic sembra funzionare perfettamente, ma nel finale della stagione passata abbiamo visto come loro due insieme a LeBron non davano le giuste garanzie difensive.
Il roster è cambiato e lo sloveno, al contrario della passata stagione, è in condizioni impeccabili, i gialloviola giocano bene e hanno un record ottimo di 11 vinte e solo 4 perse.
Per quanto non sia più il LeBron James di 5 o 10 anni fa rimane comunque uno dei due giocatori più forti della storia di questo sport.
Nonostante tutto siamo sicuri che sarà capace di calarsi nella parte ed aiutare questi Lakers ad arrivare fino infondo essendo questa una delle ultime possibilità di vittoria di un altro titolo nella sua impareggiabile carriera.
Nikola Jokic non è umano
A contendere contro i Lakers e non solo ad ovest, ci sono i Denver Nuggets che ad oggi, senza mancare di rispetto a campioni Nba come Jamal Murray e Aaron Gordon, sono i Nikola Jokic Nuggets.
La squadra del Colorado è letteralmente nelle mani del serbo che da 5 anni a questa parte sembra sempre più dominante e lo dimostra con una facilità e nonchalance che raramente si è visto in questo sport, in modo così eclatante che si potrebbe già aprire un dibattito sul poterlo considerare uno dei migliori centri di ogni epoca.
Il premio di Most Valuable Player (MVP) lo ha già vinto tre volte, nel 2021, 2022 e 2024 ma per molti le edizioni 2023 e 2025 dovevano anch’esse finire nelle sue mani.
Di conseguenza il serbo ha deciso che anche quest’anno vuole mettere in difficoltà la giuria, e infatti dopo 13 partite le statistiche sono: 29.2 punti, 13.4 rimbalzi e 11.1 assist, con quasi il 65% da due, 39% da tre e già 9 triple doppie in stagione.
Oltre le statistiche
Le statistiche sono da giocatore totale e guardando le partite si capisce come il suo gioco sia difficilmente arginabile.
Ci ha provato Tyronn Lue, allenatore dei Los Angeles Clippers, che in conferenza stampa post-partita aveva dichiarato di volerne limitare le doti da assistman chiudendo tutte le linee di passaggio, il risultato fu 55 punti segnati dal serbo e sconfitta rimediata dai suoi Clippers.
Una caratteristica che fa di Jokic il miglior giocatore attuale è l’altezza (2,11 metri) unita a un controllo del corpo degno dei migliori ballerini; infatti, il suo utilizzo del piede perno e delle finte di corpo lo rendono impossibile da anticipare per i difensori avversari, contando che può utilizzare la mano destra e la sinistra a piacimento nei lay-up.
Il serbo è inoltre in grado di iniziare i pick’n’roll sia con la palla in mano che da bloccante, rendendo l’attacco dei Nuggets ricco di variabili.
Provare a raddoppiarlo può essere controproducente essendo sempre pronto a trovare l’uomo libero sul lato vuoto del campo, ma anche dargli spazio da dietro l’arco è una soluzione che spesso non paga perché nei momenti clutch ha già dimostrato di non aver paura a prendersi tiri da tre.
I Nuggets per questi motivi sono una contender come ogni anno da quando il Joker è su questi livelli, ora ci si aspetta quello step in più dal contorno come avvenne nel titolo del 2022, coincisa anche con l’ultima apparizione alle finali NBA.
Game of the week: Mavs-Knicks
In casa Dallas Mavericks in queste settimane si respira una brutta aria, tutto va male tra risultati, infortuni e pubblico in rivolta. Dopo settimane di fischi verso Nico Harrison è arrivata l’ufficialità del licenziamento del General Manager a cui viene contestata la folle trade che ha mandato via Luka Doncic da Dallas.
A New York invece il clima è nettamente migliore, il record tutto sommato è positivo contando che la squadra si sta adattando al nuovo modo di giocare dopo l’arrivo in estate del nuovo allenatore Mike Brown.
La partita decisa dagli arbitri…nel bene
Il match dell’American Airlines Center di Dallas è equilibrato, ritmo prevalentemente basso ma sempre punto a punto finché non si arriva nel finale dove a spuntarla sono i New York Knicks grazie alle triple decisive di Landry Shamet.
Quello che ha fatto tanto discutere è l’azione finale dove lo stesso Shamet difende al meglio delle suo possibilità contro Brandon Williams, il quale fa il canestro che sarebbe valso il 113 pari, più il fallo e quindi il tiro libero del possibile vantaggio a meno di un secondo dalla fine.
Così non è stato, il fallo è stato fischiato all’attaccante nell’incredulità di tutti i giocatori in campo e del pubblico di casa.
Guardando attentamente i replay però si vede come sia effettivamente Brandon Williams a cercare con le braccia il difensore dei Knicks mentre lui prova in ogni modo a non fare fallo difendendo col corpo e non con le braccia.
In ogni caso si tratta di un fischio arbitrale che divide le opinioni ma che può essere di buon auspicio per le difese e per tutta la lega, dove si iniziano a intravedere meno fischi verso quegli attaccanti che cercano più un fallo a favore piuttosto che un canestro.
Considerazioni finali su Dallas e New York
Per Dallas il discorso è sempre lo stesso, gli infortuni non aiutano il processo di crescita di questo nuovo roster che sulla carta è molto completo e ricco di talento, su tutti Cooper Flagg che sta già iniziando a dimostrare il suo reale valore ma anche lui fermato da degli acciacchi in queste ultime uscite.
Non sorprenderebbe nemmeno non rivedere Kyrie Irving per tutta la stagione, in modo da concentrarsi sullo sviluppo dei giocatori più giovani, tankare e presentarsi l’anno prossimo con migliori auspici.
Per New York invece questo è l’anno della verità, è la candidata numero uno ad Est per arrivare alle finali.
L’inizio di stagione ci racconta come sia difficilissimo vincere al Madison Square Garden dove hanno perso solo contro gli Orlando Magic mentre in trasferta questa di Dallas è stata l’unica vittoria in cinque partite.
Il roster è tornato quasi al completo con il rientro di Jalen Brunson che, insieme a Karl-Antony Towns, è il pilastro di questa squadra. Con gli innesti estivi si è migliorata ancor di più rispetto alla passata stagione dove arrivò a 2 partite dalle finali NBA.
A New York è arrivato il momento di vincere un titolo che manca dal 1973.


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