Ormai più di dieci anni fa arrivò il primo titolo per Steph Curry e compagni che diede inizio alla più grande dinastia degli ultimi 25 anni. La squadra della baia dal 2015 al 2022 ha portato a casa 4 titoli in 6 finali NBA per poi uscire dai radar e diventare una franchigia da metà classifica in un limbo tra contender e squadra da ricostruire.
Costruire e Ricostruire
Ciò che ha portato Golden State a quei livelli nell’anello del 2015 è stata la costruzione graduale, un mercato sostenibile e nessun giocatore strapagato, credendo nei propri giovani e scegliendo i migliori al Draft.
Steph Curry nel 2009, Klay Thompson nel 2011 e Draymond Green nel 2012 sono poi diventati il terzetto in grado, non solo di portare il primo titolo in bacheca, ma poi nell’anno successivo fare 73 vittorie in stagione e record ogni epoca. Cadendo solo alle finali nella storica gara 7 contro i Cleveland Cavaliers.
Ad aggiungersi a questi 3 All-star fatti e finiti in casa, gli Warriors hanno avuto il lusso di aggiungere l’MVP 2014, Kevin Durant con il quale sono arrivati anche i titoli 2017 e 2018 in maniera piuttosto agevole. Squadra fermata solo dagli infortuni nelle finali del 2019 contro i Toronto Raptors che costarono il tendine d’Achille a KD e il crociato a Thompson.
Dopo due anni senza più Durant, passato ai Brooklyn Nets dopo le finali del 2019, e Klay Thompson ancora fuori per infortunio, con scelte al Draft pessime come James Wiseman e il nostro Nico Mannion, la storia dei Golden State Warriors sembrava ormai ufficialmente finita, non erano più una squadra temibile.
In realtà la fame di Curry non è mai terminata e con una cavalcata epocale ai Playoff del 2022, gli Warriors tornarono campioni a sorpresa anche grazie ad uno young core che prometteva faville, da Andrew Wiggins a Jonathan Kuminga passando anche per Jordan Poole in una versione mai più vista in carriera.
Passati gli anni ma la cultura è sempre stata la stessa, grazie e soprattutto al coach Steve Kerr e alla sua capacità di mettere nelle giuste condizioni tutti i giocatori del roster.
Le decisioni degli ultimi anni
Dopo quelle finali gli Warriors non sono stati più gli stessi, l’età ha iniziato a farsi sentire e le cose hanno iniziato a scricchiolare. Dal 2023 il picco più alto sono state le semifinali di Conference dello scorso anno, eliminati per mano dei Minnesota Timberwolves.
In una Western Conference sempre più ricca di talento e squadre attrezzatissime, gli Warriors continuano a scendere nelle classifiche pur se in ogni modo la dirigenza cerca di dare le carte giuste in mano a Steph Curry per permettergli negli ultimi anni di carriera di competere al massimo delle possibilità.
Le firme di Jimmy Butler e Al Horford sono un chiaro segnale di non voler ringiovanire la rosa ma provare ancora a tirar fuori qualcosa da questo nucleo di giocatori, dopo che Klay Thompson ha lasciato Oakland in direzione Dallas l’anno scorso.
Come sta andando in questa stagione?
Tutte queste scelte molto forti da parte della dirigenza in questo momento sembrano ininfluenti, ad oggi il record recita 11 vinte e 11 perse, senza grossi segnali da nessun giocatore eccezion fatta per l’alieno con la maglia numero 30 che ancora a 37 anni dimostra di saper vincere partite da solo.
Ma quando non c’è lui la squadra è depotenziata e nettamente meno efficace, con molti giocatori che devono prendersi tiri non loro in spazi più stretti, cosa che con in campo Steph non succede, essendo lui in grado di prendersi i tiri più difficili e creare spazio per i compagni solo tenendo la palla in mano.
I dati confermano come non ci siano giocatori con tanti punti nelle mani e ciò porta Golden State ad essere il ventiduesimo attacco della lega.
La difesa funziona, l’attenzione e la determinazione non mancano mai nella squadra allenata da Steve Kerr, ma spesso e volentieri la mancanza di un centro di ruolo si fa sentire.
Se questa è la squadra in vista dei playoff, la strada non sarà molto lunga, detto che bisogna prima arrivare nelle prime dieci, e in caso di Play-in; passarli.
Movimenti di mercato in vista non ce ne sono visto e considerato che Golden State è ampiamente sopra al tetto salariale imposto dalla NBA. Sono la terza squadra nella lega per stipendi dei propri giocatori con i soli Curry e Butler che sommati portano a casa 115 milioni di dollari garantiti in questa stagione.
Questo ad oggi è un netto punto a sfavore della franchigia californiana che nega ogni tipo di mossa a meno che uno dei due big non vada via in cambio di un’altra stella, e questo non sembra essere il caso.
Il futuro
Se il presente non rassicura i tifosi di Golden State, che comunque possono ancora godersi questo Steph Curry, il futuro è ancora più incerto.
Oggi immaginarsi la squadra senza di lui è una cosa impossibile, ma tra non molto sarà così e tutto lo spogliatoio subirà uno scossone non essendoci nessuno in grado di rimpiazzarlo.
Stesso discorso vale per Draymond Green, il cervello della squadra e parte fondamentale in questa dinastia, soprattutto a livello caratteriale ed emotivo.
Come è stato fatto un decennio fa, tra pochi anni sarà ora di costruire, credendo anche nei giovani già presenti in rosa come Brandin Podziemski e Moses Moody, gli unici che hanno dato parvenza di affidabilità, assieme a Jonathan Kuminga però in collisione totale con la società.
Questa e la prossima saranno le ultime vere chance di rivedere un titolo a Golden State prima che tanking e rebuilding diventino le parole d’ordine per un po’ di anni.
L’augurio è quello di rivedere questi campioni nei migliori palcoscenici possibili per regalare ai tifosi una chiusura di un ciclo che sarebbe perfetta anche per giocatori e staff tecnico.


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